mercoledì 26 febbraio 2014

Fare per fare / 3

Nel secondo paragrafo di Fare per fare (Malvino, 24.2.2014) ho scritto che «l’apparente ineffabilità della relazione [tra l’impostore e i suoi “polli”] si scioglie nello spostare l’attenzione dall’offerta alla domanda» e che «la promessa di un interesse assai più alto di quello un promotore finanziario può ragionevolmente assicurare ai suoi clienti» trova il “pollo” in chiunque nutra l’«illusoria aspettativa d’inclusione» nella «pseudologica phantastica» (Helen Deutsch) che «l’impostore affida alla cifra simbolica della propria persona», come dispensatrice degli effetti dei suoi «poteri magici» (Max Weber): è per questo che ho parlato di un «doppio investimento», perché a quello che promette il lucro materiale (un incremento della cifra investita nel caso di un promotore finanziario, elevati utili aziendali nel caso di un manager, condizioni di vita migliore nel caso di un tribuno della plebe, ecc.) si sovrappone, per certi versi si sostituisce, quello che assicura al “pollo” un effetto di «legatura» all’impostore, equivalente del sortilegio che nelle pratiche magiche lega le sorti di mandante e mandatario. Occorre tuttavia spiegare donde nasca l’«illusoria aspettativa» cui facevo cenno, e trovare gli elementi che nel “pollo” siano il concavo di ciò nell’impostore sta nel convesso della sua impostura. E qui torna lassunto argomentato ne Il cosiddetto carisma (Malvino, 13.12.2012): «Grave errore, [...] quello di considerare il carisma come un dato oggettivo, incontestabilmente reale [...] Il carisma è un prodotto relazionale [...] Si dovrebbe smettere di considerarlo come una sorta di grazia della quale un leader può essere dotato o meno, ma una sorta di disgrazia nella quale incorrono quanti si fanno seguaci di un leader dalla personalità severamente disturbata».
Robert Cialdini (The Psychology of Persuasion, 1984) individua in sei attributi l’armamentario tattico dell’impostore: (a) l’ingegno nel darsi veste di autorità; (b) l’abilità nel riprodurre un ingannevole rapporto di congrua reciprocità tra offerta e domanda; (c) l’essere in grado di dare all’offerta una preziosa dote di peculiarità che la renda rara o addirittura unica; (d) il saper attribuire all’adesione un carattere di riprova sociale d’un qualche prestigio; (e) la capacità di acquisire gradi crescenti di adesione come tributi di coerenza ad un iniziale impegno di pur scarso valore; (f) la capacità di creare un simpatetico medium comunicativo. Non è affatto difficile individuare le debolezze del “pollo” che esaltano queste doti nellimpostore, né è difficile immaginare gli scenari entro i quali queste debolezze vengono evocate e accentuate: occorre solo aver fatto tesoro della lezione della psicosociologia di scuola anglosassone (Richard T. Lapiere, Collective Behavior; Kimball Young, Social Psychology; Neil J. Smelser, Theory of Collective Behavior). 
Chiarita la natura della «legatura» tra impostore e “polli”, possiamo passare a considerare  i caratteri che assume quando  l’impostura ha per oggetto una massa, e qui può tornarci utile lanalisi di ciò che Nello Barile ha definito  «neototalitarismo» (La mentalità neototalitaria, 2008), che in buona sostanza è la militarizzazione delle pratiche di mimesi e di seduzione. La conquista non è di uno spazio pubblico che viene egemonizzato per esclusione o marginalizzazione del diverso, ma per espropriazione della sua diversità, che l’impostore incorpora senza che questa generi elemento di rottura nella narrazione mitopoietica dei suoi  «poteri magici»: «Il verbo neototalitario consiste nella volontà di affermare il proprio punto di vista impossessandosi di quello dell’altro in una sommatoria di comportamenti contraddittori […] La mentalità neototalitaria non contraddistingue colui che esclude l’altro ignorandolo, né chi lo include assoggettandolo, ma è propria di colui che esclude l’altro attraverso l’emulazione». Siamo così allinversione del paradigma che faceva del totalitarismo politico del Novecento un progetto di reductio ad unum così ben illustrato nel celeberrimo passo del discorso che Pio XI tenne il 18 settembre 1938, ribadendo la legittimità della pretesa che il cattolicesimo opponeva agli usurpatori: «Se c’è un regime totalitario, totalitario di fatto e di diritto, è il regime della Chiesa, perché l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle, dato che l’uomo è creatura del Buon Dio. E il rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio, non è che la Chiesa».
Con la «mentalità neototalitaria», la conquista dellegemonia politica e culturale rinuncia ai massacri: al terrore subentra la fascinazione. Non per questo, tuttavia, vengono meno i rischi per chi se ne fa attore. Basti comparare ciò che il generale Raffaele Cadorna scrisse in epitaffio al Ventennio: «È la solita folla che alterna l’“Osanna!” al “Crucifige!” e che tende ad attribuire a uno solo le proprie fortune o le proprie sciagure. Chi la trascina e la esalta, accarezzandone gli istinti ed eccitandone le passioni, la vedrà delirare nell’ora del successo, ma se la ritroverà davanti, inesorabile e spietata, al momento del disastro» (La riscossa, Rizzoli 1948), con ciò che Manfred Kets de Vries ha scritto sul destino che incombe sullimpostore: «Se c’è un aspetto su cui la letteratura non solo concorda, ma è unanime, è proprio che essere leader significa o richiede innanzitutto di dimostrare di avere una visione. La visione non di rado coincide con il sogno (“ho fatto un sogno…”) là dove la leadership si salda al carisma: la leadership carismatica è la leadership di un grande sogno che si insegue, che si vuole realizzare e che per molti aspetti è alto nella scala dei valori, alto nella scala delle difficoltà, alto nella fedeltà che richiede. Il sogno nella relazione con chi è sotto diventa così il vero profondo motivo psicologico delle vicissitudini della relazione di potere. In questo senso a sognare si è in due: il capo e i suoi gregari, tutti ugualmente coinvolti ad alimentare, a inseguire il sogno, a rispecchiarsi in esso: un sogno a due, un bi-sogno. Evidentemente così forte da potersi trasformare in illusione, autoinganno, fuga dalla realtà. La caduta del sogno, l’aprire gli occhi sulla realtà per quella che è, la delusione più grande della leadership, la sua fine, molto spesso proprio per questo violenta e distruttiva, è la vendetta per un sogno tradito» (Essays on the Psychology of Leadership, 1993).
Ma prima di tirare le somme della nostra riflessione occorre ancora un altro paragrafo: quello che ci chiarisca il precipitato storico della personalizzazione della politica, dalle forme del culto della persona dellautocrate al successo mediatico dellimpostore, nel ventaglio delle sue più comuni tipologie.

9 commenti:

  1. caro Malvino, vorrei condividere gli accenni minacciosi ( verso l' impostore ) presenti nel finale del suo pregevolissimo post ma purtroppo sono convinto che gli impostori moderni non rischino niente come, tra l' altro, dimostra anche la vicenda berlusconiana. Penso, anzi, che proprio questa mancanza di rischi reali sia uno degli elementi dell' impostura moderna che andrebbero con più attenzione.investigati.

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  2. Sempre utile passar di qua: avevo letto 'La mentalità neototalitaria' di Nello Barile quando uscì, lo trovai un testo perfetto anche per definire lo stile adottato da Steve Jobs.
    Stia bene, un caro saluto.
    Ghino La Ganga

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  3. Ma l'impostura descritta presuppone consapevolezza della stessa o può anche essere in "buona fede"?

    6iorgio

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  4. Psychology, not psic* (twice)

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    1. Grazie. E comunque all'ultima voce bibliografica avevo addirittura scritto "psicology" senza l'h.

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  5. Personalmente credo che esistano persone più brave a guadagnare la fiducia altrui e a trovare consenso all'interno di un gruppo, così come esistono altre persone più risolute e in grado di imporre la propria autorità disinteressandosi del giudizio esterno.

    Di per sé non sono né pregi né difetti, più che un problema di processo è una questione di definizione degli obiettivi (orizzonte temporale di azione), reperimento dei mezzi (determinazione dei vincoli esterni) e capacità di esecuzione (virtù personali oggettive).

    Non credo sia possibile dare un giudizio senza tener conto del contesto e delle circostanze. In quanto atto creativo dall'esito incerto, un investimento (affettivo, finanziario, ideologico) non può essere privo della componente onirica, siamo condannati a cercare un difficile equilibrio tra testa tra le nuvole e piedi per terra.

    Entrando nel merito, Renzi, pur essendo animato da propositi non totalmente disprezzabili, trascura con dolo la penuria di mezzi a disposizione e sopravvaluta le proprie capacità personali, come capita spesso nella pseudologia fantastica.

    Nel caso di personalità in grado di autodeterminarsi solitamente il problema che può insorgere è l'opposto: obiettivi disturbati accompagnati da grande consapevolezza e meticolosità.

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