sabato 12 giugno 2010

Lo scalpore


Su L’Osservatore Romano di ieri:

All’articolo Tammurriata nera, di Giulia Galeotti – pubblicato su L’Osservatore Romano dell’11-12 gennaio scorso – andrà il Premio Eduardo Nicolardi 2010; la cerimonia di premiazione si svolgerà nel pomeriggio di giovedì 10 giugno, alle 18.30, presso l’Institut Français Grenoble di via Francesco Crispi a Napoli. Il premio, giunto alla sua ventesima edizione, è nato per onorare la memoria del poeta e giornalista Eduardo Nicolardi, e per valorizzare chi diffonde, promuove e salvaguarda la canzone e la cultura napoletana nel mondo. Nel suo articolo, Giulia Galeotti citava proprio la celebre canzone scritta da Nicolardi nel 1945 nel periodo in cui dirigeva un ospedale cittadino, come simbolo di una società abituata a non discriminare chi ha un diverso colore della pelle.

È notizia che mi lascia senza fiato, perché a commento di quell’articolo avevo scritto:

Gli italiani sono più razzisti oggi che nel 1945? Può darsi, ma Tammurriata nera è un pessimo argomento per sostenere questa tesi. Giulia Galeotti, invece, è convinta del contrario e così scrive su L’Osservatore Romano:
“Nel vivace botta e risposta con la gente del vicolo, il protagonista-spettatore commenta un fatto «strano», la nascita di un bambino nero da una ragazza partenopea. Nella canzone lo stupore per un fenomeno nuovo («Io nun capisco ‘e vvote che succede / e chello ca se vede nun se crede. / È nato nu criaturo, è nato niro») e diffuso («Sti cose nun so’ rare, se ne vedono a migliare»), viene spiegato in modo affascinante e singolare: «‘E vvote basta solo ‘na guardata / e ‘a femmina è rimasta sott’ ‘a botta impressionata». Interviene quindi il parularo: poco importa che sia dalla pelle bianca o nera, rimane una creatura. «Addò pastíne ‘o ggrano, ‘o ggrano cresce: / riesce o nun riesce, sempe è ggrano chello ch’esce!». Nel 2010, invece, siamo ancora all’odio”.
Bene, è proprio ciò che afferma il «parularo» [in realtà: «parulano»] a smentire ciò che erroneamente sembra a Giulia Galeotti. La sua frase, infatti, è da interpretare in tutt’altro modo: se pianti [un seme] bianco, buona o cattiva che sia la raccolta, mieterai [un raccolto] bianco (se mieti [un raccolto] nero, dev’essere stato piantato [un seme] nero). La spiegazione “affascinante e singolare” è in tal modo rigettata dal «parularo», come è evidente da ciò che dice nel ritornello subito seguente: “Seh, ‘na uardata, sì. / Seh, ‘na ‘mpressione, seh. / Va’ truvanne mo chi è stato / c’ha cugliuto bbuono o’ tiro: / chillo ‘o fatto è niro niro…”. Tutt’altro che bianco, diverso da un bianco, sicché “ca tu ‘o chiamme Ciccio o ‘Ntuono, / ca tu ‘o chiamme Peppe o Ciro / chillo ‘o fatto è niro niro…”: un nome da [uomo] bianco non lo farà diventare un [uomo] bianco. Ci si legge più razzismo, temo, che il contrario.
(Italiani e razzismoMalvino, 11.1.2010)

Ho ripreso fiato informandomi sui membri della giuria del Premio Eduardo Nicolardi e sull’associazione che ne cura le edizioni, ma qui non è il caso di fare polemiche, perché anche premi assai più prestigiosi vengono dati a cazzo di cane, in Italia, da cani a cani. Quello che mi interessa è altro: Tammurriata nera descrive un’Italia del 1945 meno razzista di quella del 2010, come sostiene la Galeotti nel suo articolo, o no? In altri termini: ho letto male il suo articolo a gennaio?
L’ho letto bene, l’ho letto bene: ci ho passato un pomeriggio, ma ho trovato la conferma alla mia lettura. In due volumi di storia della canzone napoletana (l’enciclopedia di Ettore De Mura e il trattato di Vittorio Paliotti) e in una biografia di E.A. Mario che musicò Tammurriata nera (di Max Vajro) ho trovato lo stesso aneddoto.
Nel 1945, all’Ospedale Loreto Mare, dove Eduardo Nicolardi lavora in amministrazione, nasce un bambino niro e la cosa genera scalpore. Al momento chiamiamolo scalpore. È lo scalpore descritto nella canzone. E che il Nicolardi comunica a E.A.Maio, suo amico (di lì a poco anche suo consuocero). Il quale ne rimane assai colpito. Al punto che gli fa: “È ‘na mamma curaggiosa! È ‘na mamma chiena ‘e core! Edua’, facimmo ‘sta canzone!”.
Curaggiosa: per una donna bianca che mette al mondo un bambino nero, nell’Italia del 1945, ci vuole del coraggio per affrontare lo scalpore. Forse non è proprio scalpore.
La Galeotti non ha capito un cazzo. Ma è stata premiata. È questo che dovrebbe provocare scalpore.

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